sabato 3 luglio 2021

Domatori

Questo racconto meraviglioso purtroppo non è mio, ma del mio amico Checcone, che ringrazio immennsamente. "La canicola delle prime ore del pomeriggio di quel 30 giugno aveva già sciolto varie pozze di catrame nei pressi dei bellissimi giardini ornamentali, muniti di comode panchine, strategicamente poste in zone ombrose e ben ventilate. Il cardiopatico camminava, con impegno fisico massimale ed intelligenti deviazioni per evitare il maglio prepotente del terzo sole. Quello estivo. Quello che avrebbe, in un paio di mesi, seccato ogni tipo di vegetazione, lasciato i campi crettati e le strade simili a paludi cambogiane dove era frequente incontrare pattuglie di kmer rossi in cerca di gente da decapitare (giustamente). Ed ecco che, dopo aver schivato tutti i pericoli presenti sulla sua strada, arriva al limitare dell'agognato ettaro di pace e refrigerio. Ma qui il suo equilibrio mentale viene prontamente divelto da una visione apocalittica: ogni panchina è occupata da mostri inguardabili; chi sdraiato a dormire, chi impegnato in telefonate berciate con idiomi non di questo emisfero, chi impegnato in improbabili discussioni con altri mostri con nessuna speranza di trovare una qualche compatibilità. il nostro fa un giro completo dei magnifici giardini monumentali, ma non ci sono panchine libere in questa riedizione di storie già accadute a Babilonia e Sodoma nel passato, e così tira dritto, ma si trova in un inferno ancor più spaventoso: c'è la tribù dei NO BOLKESTEIN che sta smontando il Suk settimanale, con musiche arabe e berci incomprensibili. Ogni tanto si odono parole conosciute, ma sono in un fiorentino contadino, che gratta nelle orecchie come carta vetrata. Deve andare, andare, andare, ma mentre trova il coraggio per attraversare le linee nemichr, gli si para davanti un domatore grosso e peloso che indossa una t-shirt con il logo Effendi Kebab e il relativo cono di carne puzzolente, questo reale e utilizzato come noi si rama l'ulivi. Non resta che deviare verso la Fontana di Samprospero (zona franca grazie all'impegno del gruppo politico-popolare Niente per Samprospero, sempre attento alle dinamiche di quartiere). Sopraffatto sta per arrendersi alla sua triste sorte quando si materializza il 6 che va da Capradoro a Poggiarello. Con un balzo felino si aggrappa alla maniglia dello sportello dell'autista gridando AIUTO a pieni polmoni. Gli va bene, e poche ore dopo, seguendo sentieri segreti e dimenticati dai più raggiunge il portone di casa. Lo assale però impietoso il dubbio di aver perso le chiavi, ma poi si ricorda che quella era la specialità del suo dirimpettaio, e può entrare in casa senza ulteriori difficoltà. Da quel nefasto giorno ha smesso di uscire, ordinando il necessario per continuare a vivere ai vari Glovo, Delivero, JustEat, ma quando constatò che anche i fattorini erano gli stessi che aveva incontrato quel terribile 30 giugno, scese dalla soffitta la carabina ad aria compressa e preparò munizioni imbevute del veleno delle piccole rane rosse e gialle dell' Amazzonia. Due mesi dopo tutto era finito: si erano estinti i maledetti domatori, ammontinati a centinaia davanti alla bottega di Buzzino con un piombino avvelenato quasi invisibile ma decisamente letale. quasi a festeggiare il quarto sole, quello autunnale, più gentile e soprattutto foriero della grande trebbiatura".

mercoledì 17 marzo 2021

La salute è tutto

Lo convocarono per l’esame medico di controllo approfondito. L’ambulatorio era nuovo e completamente diverso da quello usuale . Innanzitutto il muro perimetrale era foderato di alluminio 10/10 ultra-rifrangente, poi sedie e scrivania erano in cemento armato abbellito con disegni di margherite e pesci rossi e l’atmosfera appariva subito tetra per l’uso di neon ad ultra-violetti cadenzati. Il medico indossava una tuta lamellare modello Neil Armstrong nel finto allunaggio, mentre l’infermiere era ricoperto con della schiuma epossidica a resa stagna, color vinaccia. Il macchinario per la diagnostica, incredibilmente somigliante ad un bunker nazista, era posto in verticale e, per accedervi, occorreva superare una rampa di sabbia disidratata al 13% di pendenza. Il dottore lo salutò cordialmente e gli disse: “Caro Francesco, come vede, abbiamo deciso di cambiare il metodo di indagine. Ora le spiego meglio. Per prima cosa, le inietteremo, per endovena, un liquido di contrasto a ph acido, leggermente radioattivo, che ci permetterà, una migliore e particolareggiata, visione dei suoi organi. Trascorsi alcuni minuti, in cui rimarrà completamente paralizzato, senza poter muovere alcun arto, sentirà una piacevole erezione del pene, che durerà alcuni intensi decimi di secondo, per poi svanire. Con tutta probabilità, piangerà tre ore, come una vite tagliata, senza smettere. Prosciugato, giocoforza, ogni liquido nel suo organismo, percepirà, netto, un fortissimo stimolo intestinale. Dovrà evacuare per almeno sedici ore, almeno che non sia particolarmente stitico di natura. Al termine di questa fase, peserà esattamente un terzo di quando è arrivato. L’iter, a questo punto, prevede una serie di scatti sul posto da ripetere 1235 volte per 30 secondi, con riposo di 10 secondi tra l’uno e l’altro ciclo. Sentirà fame. L’infermiere le porgerà quindi tre mozzarelle blu, di bufala, della terra dei fuochi, per innalzare il tasso glicemico. Le dovrà ingerire senza assolutamente masticarle, aiutandosi, se lo ritiene necessario, con un bicchiere di viakal pretto, per deglutirle più facilmente. A questo punto salga sull’autobus n.15 che passa nella sala di aspetto e compia tutto il tragitto netto, senza biglietto, evitando il controllore e gli sguardi severi dei pensionati con l’abbonamento valido. Quando rientrerà in ambulatorio avrà smaltito lo 0,090% degli effetti nocivi del liquido di contrasto e, finalmente, potremo effettuare l’esame. Entrerà, aggrappandosi allo skilift, nel bunker ed al mio segnale, tossirà più forte possibile per quarantadue minuti, senza arrossire. All’accensione della spia verde posta in alto sulla sinistra il processo è terminato. Se uscendo non si troverà più una gamba od un gomito, non si preoccupi, è già successo varie volte. Il risultato le verrà spedito con un drone militare all’indirizzo che ci ha indicato.

sabato 13 marzo 2021

RAEE generation

“Ma sei matto a gettare nell’indifferenziato un rifiuto RAEE?”, si sentì minacciosamente gridare non appena aprì quel malaugurato cassonetto. In un attimo, venne circondato da una piccia di netturbini legionari, vestiti con tute fucsia, casco da parrucchieri con modem, bocchette fumanti di vapore solfureo in ogni parte del corpo, scarpe di asfalto drenante e droni al posto della mani. Parlavano attraverso un megafono wireless e non conoscevano la gentilezza. “Brutto schifo, gettare con nonchalance un rifiuto RAEE, senza neppur aver contattato il nostro numero fluo per lo smaltimento autorizzato e programmato, è un reato gravissimo. Te la facciamo passare noialtri la voglia di danneggiare il pianeta, pezzo di mmerda”. Lo immobilizzarono fulmineamente con un’antica presa al collo delle tribù andine. Bloccato al suolo venne picchiato selvaggiamente con delle mazze chiodate rugginose ed infine rinchiuso all’interno di un baule, pieno di varani di comodo giovani in TSO. Quando giunse in aula per il processo immediato, aveva 12/14270 mmHg di pressione minima e massima, 507 pg di emoglobina, transaminasi a 0,7 Ul/l. Lo stesero supino, legato con filo spinato, dentro ad un tubo per aspirazione e lo misero sottovuoto spinto. L’avvocato dell’accusa iniziò, arrembante, la sua arringa. Pressato dentro al sacco, sentiva solo dei rumori assimilabili ai fischi che emettono i delfini per comunicare tra di loro. La sentenza fu di condanna dura, ma lui pressato com’era, non riuscì ad udirla. Imbustato venne caricato in un furgone Fedex ed inviato all’isola di Pasqua, per scontare la sua pena: guardiano a vita delle sculture Moai. Dopo undici anni, passati senza nemmeno potersi sgranchire le gambe, un turista sbadato, forò, accidentalmente gettandovi un mozzicone di sigaretta acceso, la busta, che perse il sottovuoto. Incredulo riuscì a fuggire da quella orribile prigione angusta. La felicità gli sprizzava da ogni poro, non solo per la libertà ritrovata, ma anche per non dover più vedere quelle facce di pietra inguardabili. Oggi vive in una chiatta galleggiante in mezzo all’oceano pacifico, ma ogni notte si sveglia di soprassalto, sudato fradicio, ponendosi sempre la stessa domanda, che lo perseguita spietata: “ ma che saranno questi rifiuti RAEE?”

lunedì 8 marzo 2021

Il monopattino della Lamborghini

Acquistò quel monopattino unicamente per fare lo sborone, il foloso. Una vera e propria bomba di ingegneria. Motore eco-green elettrico con batterie minuscole di concime disidratato da 74 omega3. Autonomia, a velocità costante, di tre anni luce. Telaio, particolarmente adatto alle sollecitazioni urbane, realizzato con una monoscocca di sambuco, lievito madre e colesterolo buono. Ruote ellittiche in mescola di gres porcellanato e juta di Calcutta, garantite, ben tredici anni bisestili, contro forature e rattoppi. Il mezzo, particolarmente maneggevole nella guida, raggiungeva, lanciato, su di una lastra di lavagna perfettamente piatta, lunga 333,33 metri e larga 15,7 centimetri, preventivamente levigata con carta vetrata finissima e dentifricio sbiancante con microgranuli di arenaria, la stupefacente velocità massima di 175 km/h. Il solo difetto, se di questo termine si poteva parlare, consisteva nella bazzecola che il bolide non era provvisto di freni. La postilla era scritta, in caratteri cirillici in un angolo del libretto di istruzioni e raccomandava, vivamente, al conducente di indossare sempre scarpe con para particolarmente alta e robusta, per permettere il rallentamento con la pressione spropositata del tallone su suolo. Ignaro di tutto questo, inforcò il mezzo ed appena uscito dal rivenditore, iniziò a girare senza sosta per la città, solo per farsi notare. Dopo una settimana di scorribande ininterrotte e, soprattutto, di divieti stradali non rispettati, giocoforza, accadde l’inevitabile. Percorrendo un vicolo in controsenso a manetta, investì una povera signora che tornava da un’operazione ambulatoriale alle cateratte, la quale cadde subitamente in un coma esagerato. Illeso, fuggì senza alcuno scrupolo, ma venne intercettato da una pattuglia dei Carabinieri. Braccato da vicino, decise di tentare il tutto per tutto. Senza indugio imboccò la famosa strada in discesa, soprannominata la “Spinale direttissima di Madonna di Campiglio”, di lunghezza 2,4 chilometri e dislivello 600 metri. Dopo il primo tratto, oltrepassata la curva del feretro, non era già più visibile ad occhio umano. Tentò disperatamente di frenare con le scarpe, ma il destino volle che, purtroppo, quel giorno indossasse dei mocassini scamosciati, i quali, a causa dell’altissima temperatura di sfregamento, si fusero immediatamente. Di lui, comunque, ancora oggi rimane la sindone, sul muro di cinta della caserma dei Vigili del Fuoco, posta in angolo al termine della via in discesa.

giovedì 4 marzo 2021

Il parcheggio degli invalidi

Ebbe quello che cercava da sempre, il suo Truman Show. Ciò che desiderava più di ogni altra cosa. Nessun velo e pudore, solo l’ambizione di essere presente nella vita degli altri attraverso la sua vita. Lo show iniziò nel mese di dicembre. Prima di avviare le riprese, dimagrì pesantemente, mangiando quattro ravanelli e due capi d’aglio al giorno, bevendo quattordici fiaschi da un litro contenenti una tisana alle caramelle di rabarbaro, ed assumendo due bag-in-box di sale inglese ad intensa azione purgante. Si sottopose, inoltre, ad un lifting delle anse intestinali, si trapiantò una barba nera corvina e si fece delle meches autunnali molto groove. Non sembrava più lui,tanto che il suo cane, vedendolo in casa, pensò fosse uno zingaro in cerca di regali di battesimo e gli si avventò ad un braccio. Il giorno prefissato alle otto di mattina in punto, le telecamere si accesero sulla sua esistenza. Per i primi due anni non ebbe nessuno spettatore, nemmeno uno. La produzione inziò a pressarlo, perché stava conducendo una vita troppo scontata, come un maglione di lana ai saldi invernali. Intravide, nitidamente il baratro della sconfitta e prese una decisione perentoria, per impennare lo share. Indossò la maschera in silicone di Dino Zoff ed armato con un ondulato di eternit, entrò in un autobus di linea sequestrandone i passeggeri. Costrinse la conducente a fermarsi in un parcheggio per invalidi e dette via allo show. Dopo solo pochi minuti gli spettatori non si contavano e sul luogo dell’avvenimento arrivarono sia le forze dell’ordine che le squadre speciali dell’esercito. Si senti una star. Brandendo minacciosamente il pezzo di eternit dal finestrino, intimò che nessuno si avvicinasse al mezzo, altrimenti lo avrebbe ridotto in polvere e si sarebbe consumata una carneficina. Il mediatore del governo tentò di stabilire un contatto, ma fu impossibile, vista la sua pochezza intellettuale e cerebrale. La diretta in televisione, nel frattempo, stava spopolando. Iniziarono a calare le tenebre. La situazione era in stallo. Intanto tornò a casa il signore invalido titolare del parcheggio. Trovando il suo posto occupato, iniziò a dare in escandescenza e la situazione degenerò, quando tentò di brandire la sua giannetta addosso ad un vigile troppo curioso. I passeggeri rassegnati si misero a dormire , con il collo a brandelli, in quei seggiolini scomodissimi. In quel silenzio si addormentò anche lui. Il comandante della task-force, resosi conto dalle immagini televisive della situazione paradossale, dette l’ordine ai suoi uomini di fare irruzione. Venne neutralizzato immediatamente ed arrestato. Al processo il suo avvocato chiese l’assoluzione piena per infermità mentale. La parte civile fomentata dall’invalido ancora in collera, ne chiese la pena di partecipare, in qualità di protagonista maschile, ad una via crucis realistica. Fu condannato. All’ultima stazione, quando si apprestava alla crocefissione, scappò approfittando della distrazione del suo sorvegliante Longino. Molti anni dopo fu avvistato, per caso, da un lontano parente in vacanza, in cima ad un fiordo norvegese mentre cacciava, di frodo, pinguini imperatore.

lunedì 1 marzo 2021

I ciogni (sogni) del soldato

Assunse, in successione: una punta di bicarbonato Solvay con lime dei caraibi, un crogiolo di Citrosodina, un cluster di Magnesia Bisurata Aromatic e un wok di rame, con infuso incandescente a base di zenzero e dente di leone. Niente. Non riusciva a compostare quella cena faraonica, consumata con i compagni di naia, per festeggiare l’agognato congedo. Fu una nottata travagliata. Nei quarantacinque secondi che riuscì ad addormentarsi, sognò di vincere la gara olimpica di salto con le ciaspole dal davanzale della baita Segantini sul passo Rolle, di affittare il suo tinello a Mowgli una volta emigrato dalla giungla, oramai ristretta ad orto giapponese, radere al suolo il castello delle meraviglie come l’abbazia di Montecassino durante la seconda guerra mondiale, suonare tutti i campanelli del grattacelo Burj Khalifa a Dubbai, con doppia b, di attraversare il canale di Suez a nuoto,stile farfalla, con slalom tra le petroliere assonnate, di giocare a nascondino nella foresta amazonica e non essere scoperto per tre anni, dovendo uscire solo per avere delucidazioni sull’ubicazione del salvo, di scalare, senza imbragatura di soccorso, una pala eolica funzionante nella piana di Giza e di intervistare, in diretta televisiva, il principe Carlo, complimentandosi per lo stomaco regale avuto nel trombare, ripetutamente negli anni, la duchessa di Cornovaglia Camilla Shand. Si svegliò di soprassalto tutto sudato ed ansimante, lo stomaco miracolosamente illibato. Sentì suonare l’alzabandiera. La naia era finita, poteva, finalmente, tornare a casa e riabbracciare la sua bellissima fidanzata, la modella anoressica russa Fiona Diaccia.

giovedì 25 febbraio 2021

La rivolta della glicerina

Non poteva neppure pensare che quella folla inferocita stesse protestando proprio sotto alla sua dimora. Aveva già chiamato da tempo i carabinieri, ma, evidentemente, non l’avevano preso troppo sul serio. Da una finestra minuscola della sua mansarda osservava, preoccupato, il marciapiede antistante all'abitazione. Li, si era radunata una schiera di veterani del Balsamo Tigre, uniti ad un gruppo di reduci dai bafori dell’acido lisergico ed una rappresentanza estesa di assuefatti al Voltaren versione pillola corrodi-stomaco. Glorificavano l’analgesia e le pasticche libere, intonando cori provocatori ed inneggiando slogan contro le erbe medicinali e la forza dello spirito. Alcuni, particolarmente esagitati, brandivano centinaia di blister vuoti e strappavano provocatoriamente bugiardini, prescrizioni omeopatiche e bacche di goji. Sembravano posseduti da una forza marziana. Gli uomini si infilavano supposte nell’ano alla velocità di una catena di montaggio giapponese e le donne eseguivano dei tripli axel in retroavvitamento, potendo porre fine ai dolori mestruali, soprattutto nella parte renale. Ad un certo punto successe quello che nessuno si poteva aspettare. La folla impazzì. Il panico divampò letteralmente tra i partecipanti. Le persone impaurite ed accecate dall’ansia, iniziarono a scappare in ogni direzione, come palline in un flipper gigante. I movimenti non erano regolati dal raziocinio ed in un brevissimo lasso di tempo iniziarono a scontrarsi. Chi aveva la sfortuna di cadere, veniva impietosamente calpestato. Un odore acre iniziò a spargersi in quel luogo, ormai abbandonato dal Signore. Dopo circa venti minuti di questa follia, finalmente arrivarono le forze di polizia, chiamate dai tanti testimoni delle abitazioni adiacenti. Attraverso l’uso di manganelli, idranti e lacrimogeni, venne, faticosamente, riportato l’ordine. Il bilancio della giornata fu pesantissimo: duecento feriti al muso e settantadue costole trovate a terra senza poterne rintracciare i proprietari. A scatenare la mattanza sembra la deflagrazione di un militante, a seguito dell’esagerata somministrazione di supposte rettali uniplus e glicerina basica. Chiuse la tenda e giurò che non sarebbe mai più uscito da casa.